I QUADERNI DELL'ALMANACCO

L'ASTROLABIO

di Franco Martinelli

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INTRODUZIONE

L’astrolabio è indubbiamente uno degli strumenti astronomici più interessanti del passato: un vero e proprio capolavoro dell'ingegno umano, una miscela di scienza ed arte che ancora oggi ci affascina. Il suo aspetto apparentemente misterioso, una sorta di orologio a cipolla con indici e dischi ruotanti costellati di cerchi e cuspidi a forma di fiammella, contribuisce sicuramente ad accrescerne il fascino e a trasformarlo in un oggetto quasi esoterico.
In realtà esso è semplicemente una rappresentazione del cielo visibile da una data latitudine. Su di esso sono riportate le posizioni delle principali stelle, mediamente una ventina, ma i modelli più sofisticati e di maggiori dimensioni ne contenevano anche una cinquantina; farle stare tutte, nel limitato spazio dello strumento era un capolavoro di artigianato che rendeva l‘astrolabio, oltre che bello, anche prezioso.




Due esemplari arabi di astrolabio;
il primo dal disegno classico e tradizionale,
il secondo finemente lavorato e decorato con piccole pietre preziose

Le stelle, e la posizione assunta dal Sole durante l’anno, erano riportate su un disco che poteva essere ruotato e posizionato in modo da rappresentare la volta celeste in un dato momento. A colpo d‘occhio lo strumento permetteva di capire quali astri fossero visibili, quali vicino al sorgere e quali al tramonto. Inoltre, in mani sapienti consentiva la risoluzione, con buona precisione, di una notevole gamma di problemi di astronomia sferica, in modo immediato e senza la necessità di effettuare complicati calcoli.
Era quello che oggi chiameremmo un computer portatile analogico.
Lo strumento ha avuto una lunga vita, quasi mille anni (gli ultimi esemplari arrivano al XVIII secolo), e salvo qualche modesta variante è rimasto sostanzialmente immutato per tutto questo arco di tempo, a testimonianza della sua efficienza, e della sua validità.
Nel passato era diventato, oltre che strumento di lavoro degli astronomi professionisti (ed in seguito, in una versione più semplificata, anche dei marinai che con l'Astronomia hanno avuto sempre una buona frequentazione) una sorta di status symbol.
Esemplari di grande pregio artistico e decorati con metalli e pietre preziose venivano fabbricati da esperti artigiani ed orafi ed andavano ad arricchire le collezioni di regnanti, principi e nobili che magari si vantavano di possederli ma forse non sapevano neanche come utilizzarli.
Lo strumento era tanto diffuso nel passato che addirittura lo scrittore Goeffrey Chaucer, nel 1391, scrisse Il Trattato sull’astrolabio, ad uso del proprio figlio Lewis. Il testo, rimasto purtroppo incompleto a causa probabilmente della prematura scomparsa del figlioletto e scritto in un ostico inglese antico, è ancora oggi utile per poter comprendere l’uso dello strumento ed è ricco di esempi e spunti per il suo utilizzo. Interessanti sono le raccomandazioni del padre che invita il figlio a ben comprenderne l’uso ed il funzionamento, come se allora possedere conoscenze di tale genere fosse ritenuto indispensabile, così come oggi ad esempio si ritiene indispensabile saper usare un computer. Nel Trattato vi si trovano anche interessanti riferimenti astronomici ed altri di tipo astrologico poiché, non bisogna dimenticare, all’epoca le due discipline erano intimamente connesse e lo strumento veniva correntemente impiegato per compilare oroscopi e predizioni.
I più antichi esemplari in nostro possesso risalgono al IX secolo e furono realizzati dagli Arabi.
Non si sa però chi abbia materialmente inventato l’astrolabio né dove sia nato. In genere è associato alla figura del matematico ed astronomo arabo Al–Fazari, vissuto nell’ottavo secolo, ma la presenza dello strumento in periodi precedenti è documentalmente accertata.
E’ noto che nel IV secolo Theone di Alessandria scrisse un trattato sulla costruzione dell’astrolabio. Il testo non ci è pervenuto ma ampi riferimenti sono contenuti nei successivi testi di Giovanni Filopono (530) e Severo Sebokht (660) che descrivono le parti di un astrolabio e i numerosi problemi che esso è in grado di risolvere. Questo conferma che intorno al 500 lo strumento doveva essere già ampiamente in uso e in una forma, presumibilmente, non molto dissimile da quella a noi oggi conosciuta.
Un riferimento più lontano è quello che risale a Tolomeo (I.o secolo) ma solo per quanto attiene il tipo di proiezione utilizzata per la costruzione dello strumento.
Tolomeo scrisse il trattato Il planisfero in cui descriveva in maniera molto dettagliata le proprietà della proiezione stereografica. Non sappiamo se tale lavoro fosse finalizzato alla progettazione di uno strumento o dovesse costituire il bagaglio di nozioni geometriche e matematiche necessarie all'astronomo per risolvere graficamente i complessi problemi dell'astronomia. D’altra parte riferimenti all’astrolabio in quanto tale non si trovano nelle altre opere del grande astronomo, tanto meno in quel monumento dell’astronomia matematica che è l’Almagesto. Tolomeo cita alcuni strumenti, ma niente è riferibile all’astrolabio.
Probabilmente nella mente del grande scienziato era già presente l’idea di uno strumento simile ma solo i secoli successivi portarono alla sua realizzazione ed universale affermazione.
I primi a cogliere il seme gettato dal mondo della cultura e della scienza greca furono dunque gli Arabi stimolati probabilmente anche da motivazioni di ordine religioso: con l'astrolabio si poteva determinare con certezza l'ora delle preghiere, tanto che sui loro strumenti erano quasi sempre riportate le curve orarie relative a tale esigenza. Dalla Spagna musulmana l'astrolabio non tardò a diffondersi nel resto dell'Europa.
Il periodo di massimo fulgore dello strumento fu tra il XIII ed il XVI secolo.
In tutti i paesi nacquero botteghe di costruttori che si tramandavano il mestiere di padre in figlio.
Affiancati da abili incisori e decoratori producevano oggetti di grande valore artistico e non solo astrolabi, ma anche altri tipi di strumenti scientifici, come quadranti, meridiane, notturlabi, sfere armillari, globi ecc.
La famiglia più nota in Italia è probabilmente quella dei Volpaia che lavorarono a Firenze nei primi anni del 1500 dedicandosi in particolare alla costruzione di notturlabi.
Dopo il 1600 l'astrolabio cominciò rapidamente a declinare.
Gli orologi meccanici erano sempre più affidabili, il telescopio aprì nuovi orizzonti all'osservazione del cielo e la matematica, in particolare la trigonometria, consentiva di effettuare abbastanza comodamente, e con maggiore precisione, i necessari calcoli. Per l'astrolabio, dopo secoli di più che onorevole servizio era arrivato il momento di andare in pensione rimanendo solo un prezioso oggetto decorativo.

LA PROIEZIONE STEREOGRAFICA

Gli astronomi usavano spesso modelli materiali del cielo per poter meglio comprendere, far comprendere e risolvere i problemi di tipo matematico che si presentavano nell’astronomia. In tempi in cui la trigonometria sferica non esisteva, o era appena agli albori, tali modelli erano, più che utili, indispensabili. Erano insomma sussidi di carattere didattico, si direbbe oggi e, contemporaneamente, strumenti di calcolo speditivo.


Una seplice sfera armillare
Lo strumento più diffuso era sicuramente la sfera armillare e che si vede in quasi tutte le stampe e le iconografie classiche dell’antichità. Era semplicemente una specie di mappamondo vuoto, con alcune parti mobili, in cui, anziché la Terra era rappresentata la sfera celeste ed i suoi principali circoli di riferimento (equatore celeste, eclittica, orizzonte, cerchi orari, tropici, ecc.).
Ve ne erano di diversi tipi e dimensioni ed alcune, dotate di opportuni traguardi e mire fungevano anche da strumento di osservazione e misura. Data la loro forma sferica erano piuttosto ingombranti.
Se fosse stato possibile schiacciarle e ridurle ad un piano, salvaguardando la loro funzionalità e capacità di elaborazione delle informazioni si sarebbe potuto ottenere uno strumento ugualmente versatile ma sicuramente più comodo da maneggiare e soprattutto portatile.
Poiché non è ovviamente possibile schiacciare una sfera a colpi di martello senza perderne le prerogative si può aggirare l’ostacolo utilizzando i metodi della proiezione geometrica.
Scelto un arbitrario punto di vista a partire da esso si proiettano su una superficie, detta quadro, tutti i punti della sfera. Sia il punto di vista che il quadro possono essere scelti opportunamente in modo da privilegiare alcuni aspetti della proiezione.


Il principio della proiezione stereografica.
La rappresentazione di un cerchio minore ed un cerchio massimo

Nella proiezione stereografica si assume come quadro il piano dell’Equatore Celeste e come punto di vista il Polo Celeste Sud. L’osservatore pone dunque il proprio occhio sul Polo australe e, come se il piano dell’Equatore fosse trasparente, osserva su di esso la porzione di cielo settentrionale.
Tre sono le prerogative geometriche di questo tipo di proiezione che risultano favorevoli al suo impiego in questo contesto:
  • tutte le circonferenze tracciabili sulla sfera, comunque orientate e di qualunque raggio, vengono sempre rappresentate con altrettante circonferenze;
  • i cerchi massimi passanti per il Polo Celeste Sud e Nord sono rappresentati con linee rette
  • gli angoli sulla sfera sono riportati sul piano senza distorsioni (proprietà nota con il termine isogonismo).
La proiezione di un punto qualunque è regolata dalle seguenti relazioni.
Il punto N viene proiettato in N’ che dista dal centro O

d = R tan (alfa/2)

dove alfa è la distanza del punto dal Polo Celeste Nord e R il raggio della sfera rappresentativa, cioè la sfera materiale che intendiamo schiacciare sul piano.


La proiezione di un punto, in vista prospettica ed in vista laterale

L'arco PcN-N è visto dal centro della sfera sotto l'angolo alfa; per un principio geometrico lo stesso arco visto dal Polo Sud PcS è pari ad alfa/2.
Ricordiamoci di questa regolina perchè durante la costruzione dell'astrolabio andrà applicata spesso.
Per il principio della conservazione degli angoli il segmento ON’ forma lo stesso angolo beta, formato dalla direzione del punto originale N, rispetto ad una comune direzione di riferimento.
Con queste semplici regole è possibile trasferire sul piano punti e circoli fondamentali della sfera celeste.
Utilizzando due piani distinti, uno per i riferimenti relativi all’orizzonte dell’osservatore ed uno per la posizione degli astri, e facendoli ruotare l'uno rispetto all'altro, è possibile rappresentare il cielo ad una data latitudine e simulare il moto diurno apparente della volta stellata.

Al di là di questa introduzione entreremo nei dettagli dei casi particolari e forniremo le formule per calcolare gli elmenti di costruzione nel paragrafo relativo alla progettazione dello strumento.




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